lunedì 11 novembre 2019


IL LAVORO
Il Cantico delle creature noto pure come Cantico di Frate Sole è stato composto da San Francesco d'Assisi intorno al 1224, vale a dire 2 anni prima di morire. È il testo poetico più antico della letteratura italiana di cui si conosca l'autore.
Questo reading di Dino Becagli si sostanzia in definitiva della raccolta di scritti poetici di autori vari, più o meno noti, (aforismi, poesie e quant’altro) raggruppati prendendo a base tutti gli elementi della lauda: il sole, la luna, le stelle, il vento, l’aere et nubilo et sereno et onne tempo, l’acqua, il fuoco, la terra e la morte.
Già presentato a settembre, come evento di Matera capitale europea della cultura 2019, nella Badia di San Michele Arcangelo a Monticchio, il recital è stato, per questa occasione, implementato, arricchito di canzoni a tema, per le voci talentuose di Nura Spinazzola e Rocco Fiore.
Il messaggio è SALVIAMO LA TERRA. Il futuro del Pianeta è nelle nostra mani, non solo in quelle dei politici. E non c’è più tempo: dobbiamo passare all’azione, cambiare il nostro stile di vita. 
Diceva Endy Worrol: «Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d'arte che si possa desiderare».

LE MOTIVAZIONI
Non possiamo fare a meno di pensare a quanto sia stata fortunata la generazione dei nati a metà degli anni ’50. Ha ricevuto tutto: sicurezza economica, un moderato benessere, affetti e buoni esempi, una buona scuola e un ecosistema in equilibrio. Gli adulti facevano il loro dovere; i nonni amavano i nipoti senza viziarli; i genitori facevano i genitori; i preti facevano i preti e chi praticava lo sport, nemmeno sapeva cosa fossero gli anabolizzanti. Ricordo che quando passava il Giro d’Italia, un popolo intero si assiepava lungo la strada a fare il tifo. Generazione fortunata, dunque: ha goduto di ottimi esempi sul piano umano e morale, di una buona educazione, di un forte calore familiare. Ma anche generazione ingrata: ha dato poco, quando è venuto il suo turno di dare; ha inaugurato l’era del consumo dissipativo delle risorse; non ha trasmesso ai figli che una piccola parte di quel che aveva ricevuto È stato quasi un tradimento; dopo aver ricevuto così tanto, è stata capace di dare così poco e spesso di rovinare il tesoro che aveva ereditato allorché si è trattato di educare i bambini. Aveva ricevuto la capacità di divertirsi con poco, di sognare, di giocare anche senza bisogno di giocattoli e ha trasmesso la tendenza al disincanto, al cinismo, e una serie di giochi elettronici che giochi non sono e che, comunque, giocano al posto del bambino. Non ha saputo trasmettere neppure l’amore per la vita: quella generazione, uscita da famiglie numerose, ha trasmesso un modello familiare sempre più ristretto, dove l’ordine e la pulizia formale degli oggetti, il giardino ben curato e magari un bel cane da passeggio per compagnia, valgono più del chiasso pieno di allegria di tre o quattro bambini che giocano e ruzzolano sull’erba o del più piccino che vagisce nella culla. Una parte di quella generazione è oggi qui ed ha voluto costruire questo piccolo spazio di ascolto e di riconciliazione per chiedere perdono ai più giovani per tutto ciò che avrebbe potuto fare e che non ha fatto. Perdono inteso come atto di coraggio, di amore, di umiltà. Inteso come atto di responsabilità, di consapevolezza del proprio limite; come tentativo di non sbagliare più.

Il nostro auspicio è quello di trasmettere la gioia dell’amicizia; che quella generazione e l’attuale riescano a prendersi per mano ed a seminare insieme il futuro per dar vita ad un nuovo mondo; un mondo che sia davvero migliore, che raccolga in sé i tratti essenziali dell’Umanità.
(Il Presidente Nicola Fiore)



giovedì 9 maggio 2019


Il Teatro Minimo di Dino Becagli porta in scena un lavoro banale come la vita.
Scrive l’autore: “Presentare il lavoro mi riesce facile perché semplice è la lettura che ho voluto dare, poco, pochissimo sottotesto e molta immanente comprensio-ne. Il racconto si dipana attraverso la sofferta esperien-za di vita di un camorrista e della sua famiglia, poi di quella di un rappresentante delle forze dell'ordine il quale decontestualizza l'attività del singolo camorrista e la riconduce in generale al fenomeno sociale che la incornicia. Sembrerà strano ma ogni volta che ho letto di saggi, romanzi, racconti di camorra ho visto poche volte rappresentato il sentimento dell'amore come parte essenziale di queste storie. Ecco che ho voluto inserire la prospettiva di una donna innamorata che completa il quadro che ho voluto descrivere. Alcuni mesi fa un accreditato lettore, che come me si occupa di critica letteraria, nel farmi (bontà sua) alcuni elogi per il mio lavoro concludeva la sua analisi dicendomi che il finale era banale. Credevo si trattasse di una critica negativa ed invece lo stesso continuò dicendomi: si è banale come la vita. Era proprio il proposito che volevo realizzare raccontando una storia che per quanto romanzata fosse aderente alla realtà. Perché l’ho scritto? la domanda più difficile che si possa fare ad un autore. Potrei rispondere in mille modi diversi: perché non so stare senza scrivere per esempio, per me è bisogno insopprimibile, oppure per far chiarezza nella mia testa perché solo quando metto le cose per iscritto riesco a ordinare lucidamente i miei pensieri. Credo però che la vera risposta si trovi su due piani diversi, entrambi però per me pregnanti. Sotto l'aspetto meramente intellettuale posso dire che ho scritto questo testo per curiosità, mi piaceva infatti indagare su quel fenomeno criminale assumendo prospettive diverse, anche diametralmente opposte, c’è infatti da un lato il punto di vista del camorrista e dall'altro quello del rappresentante delle forze dell'ordine e poi c'è la prospettiva di una donna innamorata, una prospettiva dunque d'amore. L'altro motivo forte, potrei dirti più istintuale, che mi ha spinto a scrivere 'Io sono un camorrista' è radicato nella mia natura di inguaribile ottimista. Io credo fermamente che alla fine di ogni percorso, anche quello più turpe, ci possa essere una redenzione, una comprensione del male fatto e degli errori commessi e un sincero pentimento per le azioni compiute e, quindi, un anelito ad una vita diversa: quell'anelito si chiama speranza che in realtà e il tema dominante della mia storia, quella speranza però che non vuole e che non deve essere mai stolida attesa di un evento esterno ma deve invece concretizzarsi in attivo, forte impegno per il suo realizzarsi. Ora mentre lo scrivo capisco davvero perché ho scritto 'io sono un camorrista': l'ho fatto perché ho speranza".

La pièce di Francesco Saverio Torrese, penalista napoletano e critico letterario, in scena al Teatro Stabile di Potenza il 13 e 14 Maggio p.v. (sarà presente alla prima) vede la partecipazione di Giuseppe Pergola nella parte del camorrista, Giancarlo Cuscino in quella del maresciallo dei carabinieri e Daniela Ditaranto nella parte della prostituta innamorata. Completano il cast Rocco Laurita e la cantante Nura Spinazzola; gli arrangiamenti musicali sono di Rocco Gruosso, la regia è di Dino Becagli.

sabato 5 gennaio 2019

GLI AUGURI DEL TEATRO MINIMO  ALLA CITTA' DI MATERA


mercoledì 2 gennaio 2019

https://www.angeloma.it/arti/gli-anni-dellincanto-di-lupo-dal-libro-a-teatro/?fbclid=IwAR2nA-zkWq7QOmM7ogirDx5wu6E4d6Ljgol-V3aO-c8Z6KBe5L9DFLHBuMA

martedì 1 gennaio 2019

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