giovedì 9 maggio 2019


Il Teatro Minimo di Dino Becagli porta in scena un lavoro banale come la vita.
Scrive l’autore: “Presentare il lavoro mi riesce facile perché semplice è la lettura che ho voluto dare, poco, pochissimo sottotesto e molta immanente comprensio-ne. Il racconto si dipana attraverso la sofferta esperien-za di vita di un camorrista e della sua famiglia, poi di quella di un rappresentante delle forze dell'ordine il quale decontestualizza l'attività del singolo camorrista e la riconduce in generale al fenomeno sociale che la incornicia. Sembrerà strano ma ogni volta che ho letto di saggi, romanzi, racconti di camorra ho visto poche volte rappresentato il sentimento dell'amore come parte essenziale di queste storie. Ecco che ho voluto inserire la prospettiva di una donna innamorata che completa il quadro che ho voluto descrivere. Alcuni mesi fa un accreditato lettore, che come me si occupa di critica letteraria, nel farmi (bontà sua) alcuni elogi per il mio lavoro concludeva la sua analisi dicendomi che il finale era banale. Credevo si trattasse di una critica negativa ed invece lo stesso continuò dicendomi: si è banale come la vita. Era proprio il proposito che volevo realizzare raccontando una storia che per quanto romanzata fosse aderente alla realtà. Perché l’ho scritto? la domanda più difficile che si possa fare ad un autore. Potrei rispondere in mille modi diversi: perché non so stare senza scrivere per esempio, per me è bisogno insopprimibile, oppure per far chiarezza nella mia testa perché solo quando metto le cose per iscritto riesco a ordinare lucidamente i miei pensieri. Credo però che la vera risposta si trovi su due piani diversi, entrambi però per me pregnanti. Sotto l'aspetto meramente intellettuale posso dire che ho scritto questo testo per curiosità, mi piaceva infatti indagare su quel fenomeno criminale assumendo prospettive diverse, anche diametralmente opposte, c’è infatti da un lato il punto di vista del camorrista e dall'altro quello del rappresentante delle forze dell'ordine e poi c'è la prospettiva di una donna innamorata, una prospettiva dunque d'amore. L'altro motivo forte, potrei dirti più istintuale, che mi ha spinto a scrivere 'Io sono un camorrista' è radicato nella mia natura di inguaribile ottimista. Io credo fermamente che alla fine di ogni percorso, anche quello più turpe, ci possa essere una redenzione, una comprensione del male fatto e degli errori commessi e un sincero pentimento per le azioni compiute e, quindi, un anelito ad una vita diversa: quell'anelito si chiama speranza che in realtà e il tema dominante della mia storia, quella speranza però che non vuole e che non deve essere mai stolida attesa di un evento esterno ma deve invece concretizzarsi in attivo, forte impegno per il suo realizzarsi. Ora mentre lo scrivo capisco davvero perché ho scritto 'io sono un camorrista': l'ho fatto perché ho speranza".

La pièce di Francesco Saverio Torrese, penalista napoletano e critico letterario, in scena al Teatro Stabile di Potenza il 13 e 14 Maggio p.v. (sarà presente alla prima) vede la partecipazione di Giuseppe Pergola nella parte del camorrista, Giancarlo Cuscino in quella del maresciallo dei carabinieri e Daniela Ditaranto nella parte della prostituta innamorata. Completano il cast Rocco Laurita e la cantante Nura Spinazzola; gli arrangiamenti musicali sono di Rocco Gruosso, la regia è di Dino Becagli.