Il Teatro Minimo di Dino Becagli porta in scena un lavoro banale come la vita.
Scrive l’autore: “Presentare il lavoro mi riesce
facile perché semplice è la lettura che ho voluto dare, poco, pochissimo
sottotesto e molta immanente comprensio-ne. Il racconto si dipana attraverso la
sofferta esperien-za di vita di un camorrista e della sua famiglia, poi di
quella di un rappresentante delle forze dell'ordine il quale decontestualizza
l'attività del singolo camorrista e la riconduce in generale al fenomeno
sociale che la incornicia. Sembrerà strano ma ogni volta che ho letto di saggi,
romanzi, racconti di camorra ho visto poche volte rappresentato il sentimento
dell'amore come parte essenziale di queste storie. Ecco che ho voluto inserire
la prospettiva di una donna innamorata che completa il quadro che ho voluto
descrivere. Alcuni mesi fa un accreditato lettore, che come me si occupa di
critica letteraria, nel farmi (bontà sua) alcuni elogi per il mio lavoro concludeva
la sua analisi dicendomi che il finale era banale. Credevo si trattasse di una
critica negativa ed invece lo stesso continuò dicendomi: si è banale come la
vita. Era proprio il proposito che volevo realizzare raccontando una storia che
per quanto romanzata fosse aderente alla realtà. Perché l’ho scritto? la
domanda più difficile che si possa fare ad un autore. Potrei rispondere in
mille modi diversi: perché non so stare senza scrivere per esempio, per me è
bisogno insopprimibile, oppure per far chiarezza nella mia testa perché solo
quando metto le cose per iscritto riesco a ordinare lucidamente i miei
pensieri. Credo però che la vera risposta si trovi su due piani diversi, entrambi
però per me pregnanti. Sotto l'aspetto meramente intellettuale posso dire che
ho scritto questo testo per curiosità, mi piaceva infatti indagare su quel
fenomeno criminale assumendo prospettive diverse, anche diametralmente opposte,
c’è infatti da un lato il punto di vista del camorrista e dall'altro quello del
rappresentante delle forze dell'ordine e poi c'è la prospettiva di una donna
innamorata, una prospettiva dunque d'amore. L'altro motivo forte, potrei dirti
più istintuale, che mi ha spinto a scrivere 'Io sono un camorrista' è radicato
nella mia natura di inguaribile ottimista. Io credo fermamente che alla fine di
ogni percorso, anche quello più turpe, ci possa essere una redenzione, una
comprensione del male fatto e degli errori commessi e un sincero pentimento per
le azioni compiute e, quindi, un anelito ad una vita diversa: quell'anelito si
chiama speranza che in realtà e il tema dominante della mia storia, quella
speranza però che non vuole e che non deve essere mai stolida attesa di un
evento esterno ma deve invece concretizzarsi in attivo, forte impegno per il
suo realizzarsi. Ora mentre lo scrivo capisco davvero perché ho scritto 'io
sono un camorrista': l'ho fatto perché ho speranza".
La pièce di Francesco Saverio Torrese, penalista
napoletano e critico letterario, in scena al Teatro Stabile di Potenza il 13 e
14 Maggio p.v. (sarà presente alla prima) vede la partecipazione di Giuseppe
Pergola nella parte del camorrista, Giancarlo Cuscino in quella del maresciallo
dei carabinieri e Daniela Ditaranto nella parte della prostituta innamorata.
Completano il cast Rocco Laurita e la cantante Nura Spinazzola; gli
arrangiamenti musicali sono di Rocco Gruosso, la regia è di Dino Becagli.